Colpito al cuore il sistema estorsivo ai danni dei vivaisti della Piana di Milazzo. I Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, con il supporto del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Messina, hanno eseguito un sequestro di beni da 190 mila euro finalizzato alla confisca definitiva nei confronti di Giuseppe Antonio Impalà, 62 anni, barcellonese, già noto alle cronache giudiziarie e attualmente detenuto.
Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Messina – Sezione Misure di Prevenzione – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, si inserisce nel più ampio contrasto alle attività del racket che, per anni, ha colpito duramente l’economia legale del territorio, in particolare quella florovivaistica della zona tra Milazzo e Barcellona.
Impalà, ex meccanico con precedenti penali, è ritenuto un esponente della “famiglia barcellonese” e indicato come uno degli esattori più attivi del pizzo, con un ruolo centrale nelle estorsioni imposte ai vivaisti della Piana di Milazzo. Queste aziende, spesso a conduzione familiare, erano costrette a versare denaro per poter lavorare in tranquillità e senza ritorsioni, in un clima di intimidazione e silenzio durato per anni.
Il nome di Impalà era già emerso nell’ambito dell’operazione Gotha 4, da cui era stato assolto, ma è tornato al centro delle indagini con l’operazione Gotha 7, grazie alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Tra questi, Nunziato Siracusa, ex boss di Terme Vigliatore, che ha rivelato il profondo coinvolgimento di Impalà nelle dinamiche mafiose sin dagli anni ’90, e il suo ruolo diretto nel sostenere economicamente le famiglie dei detenuti, attraverso le estorsioni a danno degli operatori economici locali, vivaisti in primis.
La sentenza definitiva del 2022 ha condannato Impalà a 9 anni di reclusione per associazione mafiosa ed estorsioni aggravate. Il secondo arresto, risalente al gennaio 2018, aveva già messo in luce il suo stretto legame con il boss Ottavio Imbesi, per il quale operava al fine di sostenere la famiglia di Nino Merlino, condannato per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano.
Le recenti indagini patrimoniali hanno permesso di ricostruire il patrimonio riconducibile a Impalà, frutto – secondo gli inquirenti – delle estorsioni sistematiche imposte anche a imprese agricole e vivaistiche. I beni sequestrati comprendono tre fabbricati in fase di costruzione (uno destinato a officina), cinque terreni in contrada Camicia, al confine con Merì, somme di denaro intestate ai familiari e una società edile con sede a Messina, per un valore stimato di circa 190.000 euro.