Il saggio scritto dai giornalisti Enzo Basso e Fabrizio Bertè “Mascariati” (Città del Sole Editore, in distribuzione nelle edicole di Messina e in tutte le librerie nazionali…) meriterebbe una trasposizione televisiva in quanto ben si presta per una fiction.
Il contenuto del libro, tuttavia, per quando adatto a realizzare una serie Netflix pone domande, avanza dubbi soprattutto lascia inquieti, a volte impauriti e ci conduce in una terra di mezzo che Dante Alighieri chiamò selva oscura. La morte di due poliziotti del Commissariato di Sant’Agata Militello (Tiziano Granata e Rino Todaro) a distanza di 24 ore, offre il destro per una disamina sul fenomeno dell’Antimafia, sulla natura di questo movimento su cui Leonardo Sciascia ha scritto parole profetiche.
Già in altri saggi Basso aveva affrontato il tema prendendo spunto da vicende che avevano interessato l’opinione pubblica (leggasi Antonello Montante icona celebrata e santificata della legalità), ma in questo scritto l’Autore di “Ricatto Montante, Giustiziamara, il Gazzettiere”, insieme col coautore Fabrizio Bertè rompe il tetto di cristallo che protegge l’ipocrisia della letteratura antimafia, racconta fatti, descrive personaggi e documenta circostanze che pongono domande e alimentano dubbi.

Basso è noto al grande pubblico per essere stato editore-direttore del settimanale Centonove (unico giornale chiuso per una sentenza della magistratura!), è quindi un giornalista, in fondo, però, è un archeologo. E da archeologo egli cerca e scopre pezzi e opere per conoscere storie e civiltà. Nei “Mascariati” si assiste a questa ricerca attraverso documenti e testimonianze che sono prove documentali per approfondire la vicenda raccontata che lascia adito a dubbi, addirittura a una riscrittura.
Lo scritto non sentenzia ma approfondisce portando il lettore a riflettere e a porsi delle domande. Risuonano le parole di Leonardo Sciascia che coniò l’ossimoro “mafia dell’Antimafia”.
Diego Celi