Quest’estate ero in spiaggia al Tono, in un tranquillo pomeriggio pre-agostano e, poco distante da me, disteso sulla battigia c’era un milazzese, un professionista dell’accoglienza turistica, che nella passata vita da corrispondente della Gazzetta del Sud mi era capitato di conoscere. Riceve una chiamata. Gli domandano disponibilità per una camera. «Guardi signora, dovrei avercela, ma le posso dare conferma fra un paio di ore». Sipario.
Atto secondo. Una domenica volevo portare in visita al Castello i miei suoceri originari di Roma, ospiti a Milazzo per la prima volta. Ero abbastanza sicuro che il pomeriggio sarebbe stato aperto, ma per precauzione cerco online gli orari. Il Castello di Milazzo è sempre chiuso stando a quanto riporta il sito del Ministero della Cultura (https://www.beniculturali.it/luogo/castello-di-milazzo). Che tra l’altro è l’unico sito web di un’istituzione che parla del nostro amato bene, perché sul portale del Comune di Milazzo, la pagina sul Castello (e su tutti gli altri beni cittadini) non esiste: Errore 404. Applausi.
A Milazzo non esiste un’idea di come fare turismo. Lo si capiva dai programmi elettorali scarni e confusi dei candidati sindaci. Lo si capisce da un’offerta turistica complessiva che manca. Lo si capisce dai numeri di un fenomeno che non cresce.
In base ai dati ISTAT disponibili, gli arrivi di turisti a Milazzo, tra il 2014 e il 2022, sono rimasti pressoché invariati, fatta eccezione per il drastico calo durante la parentesi pandemica.
Negli ultimi 10 anni, sempre secondo l’ISTAT, il numero di posti letto negli hotel è diminuito, a favore di un aumento nelle strutture extra-alberghiere come b&b e case vacanze, realtà che però vengono gestite con pochissimo personale, che offrono pochi servizi e che spesso non rimangono attive per l’intero anno.
E, infatti, nell’ultima annualità in cui sono disponibili questi dati su scala comunale (Censimento generale ISTAT 2011) il numero di occupati milazzesi nella vastissima categoria di “commercio, alberghi e ristoranti” ammontava ad appena il 18%, a fronte del 24% nella sola categoria “industria”.
D’altronde, non si può pensare – come fatto finora – di delegare all’Amp e al Muma (che tra l’altro ha l’unico sito web che mostra agevolmente gli orari di apertura del Castello) le politiche del turismo: è miope e improduttivo a lungo termine. Non perché l’Amp e il gruppo di volontari che ruota attorno a Carmelo Isgrò non siano bravi. Finora sono stati loro gli unici che hanno avuto la capacità e la lungimiranza di far uscire Milazzo dai confini della provincia. Ma non può bastare il loro impegno senza un coordinamento di istituzioni, imprese ed enti del Terzo settore che insieme creino il “prodotto Milazzo”. Un coordinamento che sia diretto da professionisti seri del turismo, da persone che abbiano vissuto, studiato e lavorato anche fuori dalla bolla della nostra provincia. Per evitare di cadere nelle ennesime credenze campanilistiche e false che “Milazzo ha tutto per poter vivere di turismo”. Milazzo, oggi, potrebbe solo morire di turismo.
Luca Formica
Ben detto, come non essere d’accordo.E da piu’ di 40 anni che lavoro nel turismo in Italia e purtroppo come disse un famose personaggio, l’Italia c’e’, ora bisogna fare gli Italiani, soprattutto manca la mentalita’:Milazzo ha un potenziale di crescita e sviluppo incredibile.
Cosa aspettiamo?